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Ugo Nespolo

 

Artista visivo

La tua è una lunga carriera costellata di esperienze e contaminata da correnti artistiche; tu come descriveresti il tuo lavoro negli anni?

Il mio intento è stato sempre quello di appoggiarmi ad un’idea, e poi anche di “andare e tornare” da essa; l’atteggiamento è stato altalenante e l’uso di questa parola sarebbe particolarmente adatto anche dal punto di vista concettuale. Non mi è piaciuta l’idea dell’artista che lavora nel suo studio e osserva il proprio lavoro per tutta la vita e poi non sa neanche che fuori c’è il mondo. Ho preferito portare l’arte un po’ al di là del mio studio, contaminarla anche con altre cose del mondo, metterla in relazione ad esso, in un certo senso un po’ come già fatto dalle vecchie avanguardie futuriste. Dunque bisogna portare l’arte nella vita. Ho fatto il contrario di altri miei colleghi che sono stati sempre fedelissimi alla stessa immagine e credo si siano annoiati tantissimo.

 

Hai sviluppato molte tecniche, alcune molto note e caratterizzanti del tuo lavoro; che significato e valore attribuisci alla tecnica nella realizzazione di una tua opera d’arte?

La tecnica è stata sempre essenziale per fare arte. Da Duchamp ad oggi abbiamo avuto la sensazione che per anni la tecnica fosse scomparsa, che non fosse più un carattere distintivo, qualitativo dell’opera dell’arte. E’ sempre stata importante sin dalla nascita dall’arte stessa;  c’erano le botteghe, c’era il lavoro di artigianato dove si realizzava, si modificava, si migliorava, si tramandava … era un lavoro di artigianato ad alto o basso livello che comunque non poteva prescindere dall’esecuzione manuale. Adesso ci troviamo in una condizione in cui dobbiamo ripensare all’idea dell’arte che non è solo un concetto filosofico da raccontare; infatti bisogna assolutamente ritornare anche ad eseguire. Per me la tecnica è molto importante, io la uso e mi diverto ad usarla.

 

Ti distingui per una certa varietà cromatica; raccontaci il legame tra il colore e la tua arte.

Per me l’uso del colore è molto importante; uso varietà di colori per esprimere sensazioni, del resto  la parola estetica viene dalla parola greca aisthesis che significa sensazione. Come già avveniva nell’antica arte greca, il colore accompagna la trasmissione di emozioni.

 

Quanto di te “fanciullo” c’è nella tua produzione artistica?

L’elemento della fanciullezza ci accompagna per tutta la vita, è quella purezza di spirito che ti fa agire anche improvvisamente per vivere nella bellezza; credo nell’idea che l’arte sia una cosa bella, un territorio in cui ancora ci piace stare, come ad esempio svegliarsi al mattino e scrivere qualcosa o suonare il pianoforte … in realtà è quell’elemento essenziale che mi  permette di continuare questo mestiere.  Se fosse vero quello che dice il curatore del MoMa “l’essenza dell’arte è il suo business quindi il danaro che ci sta dietro” allora io non farei arte ma venderei prosciutti.

 

I tuoi studi ed il tuo lavoro sono sempre stati legati non solo all’arte, ma anche alla letteratura.  Quanto l’una influenza l’altra e come riescono a convivere?

La storia racconta … la cultura del secolo scorso ha cercato di far interagire arti diverse in un’ottica di interdisciplinarietà; anche il semplice iniziare un percorso d’arte con le parole di un manifesto ideologico (senza giungere necessariamente al surrealismo che era un vero e proprio trattato letterario) o con il reciproco scambio tra ballerini, musicisti, artisti, filosofi etc. rappresenta una traccia di questa volontà; tuttavia, a parte qualche eccezione, questa tensione non si è realmente concretizzata ed ognuno ha continuato a svolgere il proprio lavoro nel bene o nel male all’interno dei propri contesti. Personalmente ho sempre avuto sempre ottimi rapporti con altre figure come Sanguineti, Alda Merini … perché ero ritenuto sempre utile, molto connesso alle loro idee. Oggi più che mai sarebbe opportuno continuare questa strada per vederne gli sviluppi. L’artista “egoista” non credo serva a qualcuno.

 

Dai tuoi lavori si percepisce un desiderio di narrazione; quali sono le storie che più ti piace raccontare?

Ogni mio pezzo tende a raccontare una storia; le storie che poi si possono leggere sono estratte dalla vita reale in quanto l’arte non può prescindere da essa. Questo senza per forza cercare di essere contemporaneo, non mi è mai interessato. Ho sempre preferito raccontare semplicemente ciò che io conosco, ciò che è venuto fuori dalle mie esperienze di vita, da esperienze nei musei, da visioni nelle città, ma anche da racconti.  Mi piace mettere in scena una sorta di teatrino, riscrivere il mondo in maniera piacevole, in modo che diventi quasi leggero come un raccontino per ragazzi, affascinante e attraente. E’ anche un modo per esorcizzare i termini dell’inizio e della fine. Dicono che ho un po’ ridotto il mondo in figurine.

 

Quali sono i tuoi maggiori riferimenti nel mondo artistico, letterario, o appartenenti a qualsiasi altra forma d’arte?

In generale dico che bisogna sempre stare attenti a ciò che ci circonda, prendere più possibile dal passato e dal presente. Dovendo fare dei nomi mi limito a parlare di arti visive e dico futurismo, non tanto per le opere in sé, ma per il senso del movimento che ha rappresentato cercando di cambiare la visione attraverso un nuovo modo di intendere l’arte, e metafisica per il coraggio di andare oltre.

 

In un mondo senza limitazioni, potendo scegliere qualsiasi luogo, mezzo, tecnica … che opera realizzeresti?

In un mondo senza limiti mi sarebbe piaciuto essere l’autore della “Pala di altare di Grünewald” o de “La zattera della medusa” di Gericault.

 

Quale pensi sia il ruolo dell’artista contemporaneo?

Ritengo che l’artista contemporaneo debba essere interprete della propria dimensione spazio-tempo; credo che non servano “cretini di genio”.

 

Considerando il panorama artistico odierno, cosa ti sentiresti di consigliare ad un giovane artista?

In realtà mi capita spesso di consigliare i giovani. Dico sempre che l’arte è un mondo difficile; si deve essere certi di intraprendere la carriera artistica in quanto il rischio di fallire è alto e ognuno è personalmente artefice e responsabile del proprio successo o insuccesso. Inoltre dico che l’arte è cultura, ma anche esperienza … viaggi … letture … ricerche … in alternativa il rischio è sempre lo stesso: restare chiusi in un proprio mondo.

 

© Annarita Borrelli

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