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Arte - Francesca Fini - White Sugar


Bianco, raffinato, assolutamente artificiale. Di che colore erano le nostre nebbie … non lo avevamo forse ancora sognato. L’opera di Francesca Fini si nutre delle fonti dell’immaginazione e si perde in ipnosi e presunta confusione. I popoli, gli stati, le abitudini, i bisogni, le opinioni, l’ubiquità ed i simbolismi delle donne, le nuove scarpe alla moda … le grandi domande, le antiche fiabe … le nostre vite … a volte ancora sperano nei piaceri contraffatti e preferiscono sbagliare per poi agitarsi nelle fantasticherie. “White sugar” è una lucida interpretazione della modernità, un rischioso gioco dell’inconscio che levita come lo spazio e dà accesso a ciò che risiede oltre il visibile … un abnorme viaggio dell’intelletto in 3D. Francesca Fini racconta la storia di un ricordo perduto nella memoria di una donna, come tra le braccia di un messaggero di modelli culturali dominanti, e attentamente rielabora materiali d’archivio risalenti alle prime testimonianze di crescita socio-economica della cultura occidentale nel corso del secolo breve. Una ribellione del pensiero, della memoria e della definizione dello spazio che fa scintille contro le convenzioni. L’opera sottolinea i danni, le ambiguità, i compromessi … gli squilibri di una crisi e poi propone la regressione e la catarsi dalle dipendenze e dalle alterazioni, attraverso il rimedio della vita. La memoria somiglia alla linea dell'orizzonte: più ci si avvicina, più esso retrocede. La memoria … avanza dalla madre mente: è abituata a proteggerci perché, fino a quando non s’accosta la notte … e poi il giorno … e poi il limbo, ci asserviamo ai dubbi mai tanto adulti per sopravvivere ad occhi spalancati.


di Annarita Borrelli


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