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Intervistare l'arte - Paolo Schmidlin


Quando e come è nata la tua passione per la scultura e la modellazione plastica? Raccontaci del tuo primo lavoro in assoluto …

Da piccolo amavo già modellare. Utilizzavo i classici materiali usati dai bambini, tipo Pongo e Das … i passaggi da allora sono stati graduali e liberi da qualsiasi condizionamento poiché non ho fatto studi artistici. E’ stato piuttosto tardi - ero già al liceo – quando ho messo le mani nell’argilla per la prima volta: l’ho trovata un,materiale incredibile, così duttile e che racchiude in sé qualcosa di arcaico. Richiama la “terra” che ci ha generati e nella quale ritorneremo.


Quali sono i tuoi riferimenti classici e contemporanei?

Onestamente non credo di avere molti riferimenti nel campo dell’arte, decisamente non ne ho avuti dall’arte moderna e contemporanea poiché non la amo. Da ragazzino forse qualche flash mi è però arrivato da Duane Hanson e dagli iperrealisti americani (ricordo una grande mostra alla Rotonda di Milano che aveva scosso la mia fantasia). Gli altri “input” provengono perlopiù da altrove, specialmente dall’osservazione della vita. Mi colpivano alcuni volti, mi affascinavano certe storie. Tutto iniziava da lì. Anche il cinema ha avuto un ruolo importante; specie il cinema hollywoodiano degli anni d’oro con le sue dive e le sue misteriose ombre.


Comunichi un certo gusto per il grottesco, se è così ... da dove nasce?

Il grottesco è parte della vita, è nel quotidiano … basta solo saperlo cogliere. Quando mi guardo in giro mi rendo conto che davvero la realtà supera la fantasia. Non c’è mai bisogno di calcare la mano … A volte mi incanto ad osservare le persone, le loro “maschere” e le loro follie. E’ facile attingere dal mondo che ci circonda ; gli spunti sono infiniti. Prendi, ad esempio, una prima a teatro, a Milano; aggirandomi nel foyer durante l’intervallo, già potrei trovare stimoli per anni di lavoro. Il grottesco vi ribolle come in un magico magma. Soprattutto in questa nostra epoca così legata all’immagine esteriore, gli effetti della ricerca ossessiva di bellezza e gioventù creano veri “mostri”.


Davanti ai nostri occhi le tue sculture diventano una dichiarazione smitizzante di corpi e figure note ... poi così in un attimo ... decadenti. Come sei giunto a questa tua dimensione stilistica?

Mi hanno sempre affascinato le parabole esistenziali, “le stelle passate alle stalle”, i trionfi e le cadute rovinose. Trovo siano un antidoto all’invidia. Tutti siamo parte di un grande teatro dove però , ad un certo punto, inevitabilmente l’illusione finisce; le luci si spengono, il sipario cala, e la sala con i suoi velluti rossi sprofonda nel buio e nel silenzio. E anche la stella più luccicante si ritrova da sola in camerino, stanca e con il trucco un po’ sfatto, davanti ad uno specchio dalle luci crudeli. Ecco, questo è il momento che mi piace cogliere, perché è il più vero …


La tua ricerca è legata alla caducità. Hai mai pensato di volerla rappresentare con elementi diversi dal corpo umano?

Mi affascinano le rovine, anche in architettura. Sono stato attratto, ad esempio, dalle sontuose dimore abbandonate. Ma la rovina dei nostri corpi che lentamente e inesorabilmente vanno in malora è quella che più facilmente riesco a rappresentare attraverso la scultura.


Ti è mai capitato di voler evadere dal tuo concept artistico preminente?

No. Perché per me la creazione artistica è liberatoria più di una seduta di psicanalisi. Per cui emergono sempre gli stessi fantasmi. Non avrebbe senso né interesse per me lavorare su altre tematiche.


Sei molto bravo nella modellazione plastica, mi chiedo ... qual è il tuo rapporto con le nuove forme d'arte legate anche ad un uso anche eccessivo della tecnologia?

In genere queste nuove forme d’arte contemporanea mi annoiano mortalmente. Io amo la figura dell’ ”artista artigiano”, che tocca, che si sporca le mani. Mi piace sentire le ”impronte” dell’artista, anche nell’arte classica: nei dipinti antichi vedere le pennellate, perché dietro ad ognuna di esse c’è un pensiero; nelle sculture cogliere le tracce del modellato, le forme e le avvallature dove sono passate dita e mani che ormai sono polvere.


Come vedi il tuo lavoro agli occhi dei posteri?

In verità non mi è mai interessato pensare ai “posteri”. Noi siamo qui adesso e il futuro, anche quello del pianeta terra, è solo un’ ottimistica ipotesi. Tutto finirà disintegrato attraversando i cicli universali. Il tempo, sotto quest’ottica, è un concetto assolutamente relativo. E l’idea di “sopravvivere” attraverso i posteri mi appare risibile.


Qual è, a tuo avviso, il ruolo dell'artista contemporaneo?

Sono dell’opinione che l’artista non dovrebbe avere “ruoli” e comunque i ruoli che si tendono ad appioppare li trovo privi di significato. Fare arte è una pratica fondamentalmente “egoista”. Diciamo la verità: si dovrebbe creare solo per il piacere di farlo, non per mandare messaggi. E’ un momento di intimo rapporto tra il nostro pensiero e la materia. Ho sempre diffidato degli artisti che vogliono comunicare concetti: li trovo presuntuosi e fastidiosi. Non siamo autorizzati a dare lezioni. Si lavora per tirar fuori qualcosa da dentro di noi e chi in seguito osserverà l’opera è giusto che lo faccia con la massima libertà e che la interpreti attraverso il proprio gusto, la propria esperienza, la propria sensibilità, la propria storia … Ad opera finita è giusto che l’artista faccia un passo indietro. Sono del parere che l'arte non debba proprio esprimere concetti; dovrebbe lavorare su un altro livello, che non è quello mentale bensì quello emotivo. Per i concetti c'è la filosofia. L'arte è un tipo di comunicazione ancora più sottile che dovrebbe andare a smuovere qualcosa di più intimo e di più profondo ... qualcosa di indefinibile legato al vissuto personale di ognuno, alle paure, al ricordo, alla nostalgia ... L'idea che si debba esprimere dei concetti è una degenerazione dell'arte contemporanea; un ritratto di Leonardo o di Velasquez , ad esempio, non esprime nessun concetto ma tocca l'anima.


Un consiglio che ti piacerebbe dare ad un giovane artista ....

Essere libero. Da condizionamenti estetici ed economici. Non seguire mode, tendenze, mercato ma solo la gioia della creazione. Se il lavoro è sincero e meritevole, le occasioni e i risultati arriveranno da soli.


© Annarita Borrelli

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