Dall’aniconico all’iconico, andata e ritorno. Nel nostro Brevi…c’è prima di tutto un intagliatore, intento a procedere, se si vuole, dall’astratto al figurativo, o per valersi di termini più pertinenti, dall’aniconico all’iconico, il che ancora una volta ne fa un buon erede del duo Balla-Depero. Anche loro, ai tempi gloriosi del primo Novecento, transitavano indifferentemente da proposte astratte ad altre figurative, accompagnate oltretutto da una piacevolezza decorativa, non disdegnando certo i tratti curvilinei e arricciati. In questa sua peculiarità Brevi si colloca a cavallo, in posizione mediana, rispetto agli altri suoi compagni della compagine novo-futurista, i quali, per lo più, scelgono di muoversi su un terreno o sull’altro...
Brevi riesce a cavalcare entrambi gli esiti perché in lui si può scorgere una linea di sviluppo che va dal generale al particolare, ovvero l’abile ebanista e intagliatore all’opera con agili mani e dita predispone vasti piani arrotondati, smussati, che funzionano come ampie matrici, in gara col mondo vegetale o animale, pur mantenendo nello stesso tempo un piede nell’artificiale, nel “fatto ad arte”. Queste forme sinuose e arrotondate si dimostrano disponibili per vari esiti, come dei lazos lanciati a volteggiare nello spazio che al momento non sanno bene quale preda andare ad afferrare. Ma poi, avanzando nel procedimento genetico, si infilano per una strada o per l’altra, ovvero imboccano il principium individuationis, come una pianta che, dopo tanto sventolamento di foglie e di steli, decide di partorire alla sua sommità un fiore, solitamente non più di uno…
Va aggiunto che questo scoperto ed evidente processo genetico non riguarda solo le forme ma anche i colori, ovvero l’ampio agitarsi di forme primarie è già immerso in splendenti bagni cromatici, dati da smalti e da acrilici, che incentivano il carattere preziosamente artigianale dei piani intagliati, sforbiciati, annunciando un approdo finale a quelle sorte di fiori pronti a sbocciare al termine della catena.
Nulla vieta, però, di percorrere questo andamento in senso inverso, ovvero potremmo partire dall’individuo apparso come prodotto terminale, l’individuo, il diavoletto, l’arguta icona che dà magari il titolo all’intera opera, considerarla come una sorta di aroma concentrato che poi si diffonde in emanazioni via più allargate, cioè l’esistente, per dirla con qualche solennità filosofica, risale verso l’ente primario che lo ha generato, o si potrebbe anche vedere il tutto secondo il ben più familiare esempio del sasso scagliato nello stagno che determina una serie di anelli concentrici di rifrazione, sempre più generici, tanto che alla fine si perde la nozione dell’immagine iniziale. Beninteso, Brevi, a differenza di De Dominicis, non ha alcuna pretesa o voglia di generare delle onde di rifrazione quadrate, si è già detto che la sua scelta a favore del soffice e del simil-organico è irreversibile.
Non dimentichiamo l’”arte del pensare bellamente”, del ricorrere a giochi di parole, con rapidi passaggi dal figurato al letterale, che sappiamo bene appartenere ai migliori esiti dell’estetica, come ci insegna il Baumgarten, e come tanti nostri straordinari operatori hanno ben dimostrato, basti pensare al De Dominicis della Mozzarella in carrozza o dei Saltimbocca alla romana...
E’ come dare un ordine al computer e attendere che esso, attraverso una lenta e circospetta evoluzione di piani, alla fine punti su un motivo concreto e ben individuato, capace di concretizzare l’astratto senza tradire uno stile generale pur sempre ispirato ad ampie falcate, sostenute anche da un brillante colorismo, quasi come di vernici spruzzate alla fiamma, ma il paragone è improprio perché si addice al mondo degli ordigni inorganici, qui invece si tratta pur sempre di fare concorrenza al mondo incantato della natura, fiori e insetti, in particolare le farfalle…
Una vicenda di pieni e di vuoti
Questa possibilità che l’arbusto generativo, la pianta biomorfa fungente da provvida matrice, non riesca a tenere vincolate a sé le propaggini, ma possa anche perderle per strada, lasciarle andare per loro conto, ci riporta a una delle prerogative dell’intagliatore, che dunque fanno parte della sua dotazione intrinseca. Incontriamo a questo punto una nuova coppia dialettica, oltre all’altra già vista dall’aniconico all’iconico, andata e ritorno. Si tratta della coppia sottesa tra i pieni e i vuoti… Traforando gli strati di MDF, Brevi si compiace talvolta di aprirvi finestrelle, incavi beanti, che però parlano anch’essi, possono contribuire a delineare a loro volta delle icone, come succederebbe proprio con un gioco di mani secondo l’esercizio delle ombre cinesi...
Ma lo abbiamo detto, l’intera situazione apparsa negli anni dall’85 in su si ricollega al Pop di vent’anni prima, però con l’obbligo di aggiungere quozienti di preziosità e di ornamento. E dunque anche il Brevi ritrattista non rinuncia certo al suo codice dominante di forme simil-organiche, c’è una pavimentazione di cellule sbisciolate, come tante amebe, che si incastrano le une nelle altre, così come succede quando un puzzle è stato compiuto e tutte le sue tessere risultano collocate al posto giusto. In questo caso scatta un procedimento in levare, l’intagliatore, con la sua ben nota destrezza di dita, toglie alcune particelle, lasciando comparire in negativo, attraverso dei vuoti, il volto adorato dalle masse, la sacra immagine offerta al pubblico culto. Anche se forniti attraverso dei vuoti, i noti profili risultano del tutto eloquenti, anzi, acquistano una ancor più efficace evidenza e immanenza. I pieni e i vuoti concorrono a tracciare la medesima incantata iconosfera.
Renato Barilli – estratto dal libro Dario Brevi 2012 – Galleria Centro Steccata – Silvia editrice.