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Musica - Ozone Park


Cominciamo dall’inizio della vostra collaborazione: come è nato il progetto degli Ozone Park?

Ci unisce una grande amicizia ed abbiamo tutti esperienze legate soprattutto allo swing alle spalle. Siamo finiti quasi per caso a New York, per un seminario Jazz che si è rivelato estremamente noioso. Avevamo voglia di suonare liberamente dopo le giornate di studio ed abbiamo prenotato una sala prove locale. I primi pezzi del cd sono nati così, per gioco, diventando subito dopo l’inizio di un percorso molto complesso. Negli altri brani infatti, che poi abbiamo composto ed arrangiato una volta rientrati in Italia, abbiamo via via dato man forte al nostro estro progressive con cambi drastici e spesso totalmente imprevedibili e con inserti più complessi rispetto ai primi tre brani. Attualmente lavoriamo a un nuovo disco, le cui strutture sono molto più complesse. Col passar del tempo diventiamo più affiatati e forse più coraggiosi. Il percorso è comunque appena iniziato, perché abbiamo idee di nuovi brani quasi ogni giorno.


Nel disco c’è senza dubbio un forte richiamo agli anni ’70. Ci volete descrivere Fusion Rebirth?

Ascoltando i brani del disco si può senza dubbio notare che Fusion Rebirth è un progetto dal sapore decisamente internazionale. Le prime due track, ovvero Bocius e Fusion Rebirth insieme alla quarta, 78 game, esprimono una fusion classica tra funky e jazz ispirandosi a delle sonorità che provengono direttamente dal nuovo continente. Kimberly Dreams è, invece, un pezzo che ha una storia diversa perché è nato negli Stati Uniti ed in seguito è stato ultimato in Italia. Quest’ultima è una composizione molto importante perché all’interno del disco rappresenta alla perfezione quel passaggio tra la Fusion Tradizionale e il Progressive italiano ed inglese degli anni ’70. Un processo che parte da qui si esprime in maniera più chiara in altri brani.


La fusion è per essenza un “linguaggio” che presuppone una “fusione” di stili: cosa vi attrae maggiormente di questo “genere”?

La possibilità di unire al Jazz qualunque altro genere musicale, senza una regola precisa. Noi amiamo interpretare letteralmente il termine Fusion. Un po’ come faceva (certamente molto meglio di noi) il grande maestro Frank Zappa. Facciamo minestroni senza cercare di farli apparire diversi da quello che sono, e cioè una miriade di stili affiancati da una linea immaginaria che li tiene uniti in ogni brano. Non essendoci una parte cantata, l’operazione è più complessa e i punti di riferimento per l’ascoltatore più difficili da trovare. Ma l’apparente disordine che si coglie in certe nostre composizioni, è in realtà assolutamente voluto e pianificato.


Quali sono gli artisti che, invece, sono stati per voi una notevole fonte di ispirazione?

Per quanto mi riguarda posso dire di essere ispirato da tutto. Ascolto qualsiasi tipo di musica, da quella commerciale a quella sperimentale. Ho amato molto moltissimi musicisti, e se dovessi fare una classifica non saprei davvero chi mettere nei primi tre posti. Certamente oggi non posso fare a meno di Frank Zappa, degli Area, di Paolo Conte e degli Snarky Puppy, un gruppo fusion contemporaneo che trovo straordinario. Più in generale Davide (il sassofonista, ndr) ha una estrazione molto classica perché ascolta da decenni i gruppo fusion storici americani (e non solo), Gianluca (percussionista, ndr), pur giovanissimo, è un amante e ascoltatore incallito di musica progressive e un incallito studente di musica contemporanea al conservatorio. Alessandro (batteria) è un amante del progressive rock alla Dream Theather.


Gli Ozone Park nel futuro…

Abbiamo già in cantiere un nuovo lavoro, più difficile per noi e sicuramente più impegnativo per l’ascoltatore. Tende per ora molto verso la sperimentazione, vorremmo fosse perfetto stilisticamente e innovativo nelle idee. Per questo non abbiamo fretta di concluderlo, dal momento che è ricco di particolari e decorazioni che richiedono lavoro teorico e giornate di prove.

Lo staff di ignorarte

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