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Intervistare l'arte - Marco Lodola



Marco Lodola Artista: raccontaci brevemente come lo diventa.

Passaggio classico dalla scuola … il liceo artistico … l’accademia di Brera e poi eccomi qua, un passaggio accademico. L’ho vissuta così con dei meccanismi anche casuali … magari dopo la scuola molto spesso non riesci a fare ciò per cui hai studiato, quindi per qualche anno ho fatto anche altri mestieri. Poi ho avuto la fortuna di trovare una galleria che mi ha dato fiducia e da lì si è innescato tutto il meccanismo, parliamo degli anni ’80.


A me non va di etichettare la tua arte, ma se dovessi farlo tu per forza di cose, come ti definiresti?

Me ne hanno messe tante di etichette, mi hanno chiamato “nipotino della pop art”, mi hanno associato al futurismo etc. ma io non mi sono mai posto il problema; è un’esigenza della critica che, per forza di cose, deve collocarti.


Marco, perché la luce?

E’ venuta da una ricerca formale; all’inizio anche io dipingevo “normalmente”, usavo oli e tempere su tela, poi, casualmente, l’ho sostituita con supporti plastici per poi arrivare all’illuminazione quando ho iniziato a vedere sculture abbandonate nelle insigne pubblicitarie, questo mi ha dato il là per realizzare delle sculture vere e proprie. E’ stato un gesto più o meno casuale, copiato dalle tecniche delle insegne luminose. Dal 1200 fino ad oggi la frase più ripetuta in assoluto nella storia dell’arte è “l’artista ha cercato di catturare la luce” … io l’ho messa dentro le sculture e li ho fregati tutti.


Le tue opere viaggiano tra stati d’animo oscillanti tra allegria e malinconia. Vuoi parlarcene?

Dipende dalla lettura personale, da come ti poni davanti. La cosa vale anche per me, puoi trovare l’allegria di una coppia che danza così come la solitudine per quel che stanno facendo, puoi cogliere l’emozione. L’insegna non da un volto a nessuno, è l’immagine antirazziale per eccellenza. Siamo un po’ un passaggio luminoso, temporale. Allegria e malinconia coesistono e basta, per il tempo che ci è dato, come un candela … il tempo di un fiammifero.


Tecnica ed estetica sono due aspetti prevalenti del tuo lavoro. Mi piacerebbe che ci parlassi del tuo concept artistico di base.

Lo ripeto sempre, non ho un vero e proprio concept … l’unico concetto di base è, forse, espellere le angosce personali interiori; della tecnica ti ho già detto prima e poi sull’estetica … certamente è più facile comunicare con delle immagini accattivanti, ma non sempre io comunico cose positive, è un’illusione anche quella. Una cosa può sembrare superficiale, ma invece contiene una grande profondità e viceversa.


E’ chiara la tua passione per un certo tipo di musica, di cinema e di letteratura; se dovessi fare un nome per ciascuna di queste arti, quale faresti e perché?

Per quanto riguarda la musica, per quella che ho vissuto … I Beatles perché credo siano inarrivabili, hanno sperimentato molto con il visivo e la musica in un modo che non credo nessuno abbia superato. Cinema … avrei tanti nomi Chaplin … Fellini, uno su tutti Kubrick. Infine sulla letteratura … ho iniziato con i classici, sono partito con testi che in verità mi hanno anche angosciato e poi ho alleggerito le mie letture, se devo fare un nome dico “Hermann Hesse”.


Se vivessi in un luogo senza tempo, lontano da qualsiasi tipo di contaminazione contemporanea, quali pensi sarebbero i tratti caratteristici della tua produzione artistica?

Non ne ho la più pallida idea, in realtà credo di vivere già in uno spazio senza tempo per la vita che conduco e il mio lavoro.


Se potessi scegliere un luogo senza limitazioni di alcun tipo, dove desidereresti installare una tua opera e come lo faresti?

Sulla luna, così si vedrebbe quando è buia, sarebbe bello illuminare l’universo, magari dopo aver illuminato il mondo intero.


Lodoland: una parola, una filosofia. Parlaci di questa realtà.

E’ una sorta di factory Warholiana, una definizione che mi ha dato un critico all’inizio perché, come capita a quasi tutti gli artisti, anche nel mio studio c’è un coinvolgimento fisico e mentale, una contaminazione con altre discipline come lo era nella factory di Wharol. Qui da me oltre che fare il mio lavoro abbiamo girato film, presentato libri oppure suonato, infatti c’è uno spazio dedicato alla musica, da lì Lodoland che sembra di sorta di Disneyland post moderna.


Quale credi sia il ruolo dell’artista contemporaneo?

Non ho mai creduto che un artista abbia un suo peso sociale e politico, non c’ho mai creduto. Quando presuntuosamente gli artisti pensano di comunicare, cambiare, salvare il mondo dicono una menzogna, penso che un artista sia la persona più innocua per quello che fa, per quello che è, sul pianeta. Non ci credo all’arte che contiene il messaggio politico, cosa cambia, niente! Il cambiamento avviene sulla strada, a limite in parlamento, ma non con un quadro.



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