Pablo Allison e il Collettivo Fx in mostra: Exodus
Ha inaugurato il 10 novembre Exodus, la mostra a cura di Pietro Rivasi che vede protagonisti Pablo Allison e il Collettivo FX. L’esposizione, che sarà visitabile fino al 26 gennaio 2020 nei locali del Vicolo Folletto Art Factories (Reggio Emilia), mette in luce quello che, da movimento naturale, si sta trasformando nella tragedia del nostro secolo: la migrazione. Gli artisti difatti raccontano con mezzi espressivi diversi le vicende che i migranti, in cerca di un rifugio politico o di un’esistenza degna di questo nome, attraversano per passare dal Sud al Nord del mondo. Pablo Allison è un artista poliedrico che si occupa di writing e disegno, ma sceglie come canale di narrazione principale la documentazione fotografica. In mostra troviamo alcuni scatti tratti dal suo reportage “La Luz de la Bestia”: il giovane fotografo ha passato diversi anni in America centrale, documentando la traversata compiuta da migliaia di persone con la speranza di raggiungere gli Stati Uniti. La Bestia è il nome del treno-merci che, dagli anni ’90, attraversa liberamente il Messico fino a raggiungere il Nord America, su cui gli “indocumentados” saltano a bordo sistemandosi come possono nei container o tra un vagone e l’altro. Lo stesso Pablo Allison ha affrontato questa traversata per documentare rigorosamente tali vicende, e per farsi testimone delle ostilità cui sono sottoposti i migranti che, oltre a fare i conti con le condizioni precarie di viaggio, rischiano di incappare nelle mani della criminalità organizzata locale.
La figura del treno-merci diventa il punto di giunzione tra le opere del fotografo anglo-messicano e quelle del Collettivo Fx. Nato nel 2010 a Reggio Emilia, il Collettivo Fx si occupa di street art e interventi urbani, indagando la realtà sociale fino a metterne in luce tematiche talvolta scomode, o dimenticate: le immagini prodotte, spesso di grandi dimensioni ma prive di una tendenza al virtuosismo stilistico, hanno come protagonisti sia grandi personaggi universalmente riconosciuti - presentati in un interessante rovesciamento della medaglia con interpretazioni fuori dall’ordinario -, sia uomini e donne comuni che si trasformano in icone del popolo.
In mostra a Reggio Emilia sono presentati alcuni dei lavori realizzati dal 2017 a oggi sui vagoni dei treni-merci: a fare le veci di queste “pittate” sono i disegni e gli schizzi, ma soprattutto la documentazione fotografica, mezzo di mantenimento e testimonianza per un’arte che inevitabilmente è effimera. La serie “Jindu” (progresso, in cinese) si concentra su alcuni generi di migrazione, che si sviluppano su diversi livelli. In Jindu III infatti ad apparire sui vagoni merci sono tutti quegli animali che per ragioni vitali, più comunemente legate all’alimentazione e alla riproduzione, si spostano: la loro migrazione è spontanea, libera da barriere, guidata dall’istinto.
In Jindu X, invece, i soggetti ritratti sono i conquistadores che tra il XV e il XVII secolo sono sbarcati massivamente nei territori americani, mossi dal desiderio di conoscenza, trasformatosi poi in un’efferata pulsione di appropriazione e di dominio. Ciò che accomuna gli animali e i conquistadores è proprio la mancanza di barriere, la libertà di emigrazione; tuttavia al giorno d’oggi questo sembra non essere un diritto universale. I fenomeni migratori protagonisti della cronaca internazionale e mondiale, non sono certo un fenomeno proprio della contemporaneità: sono da sempre conseguenza della complessa interazione tra ambiente e essere umano, che sollecitato da ragioni culturali, climatiche, economiche o sociali, si muove verso nuove terre rispetto a quella di appartenenza. Ma l’aumentare progressivo dei divieti e dei muri di frontiera, ha reso gli spostamenti sempre più pericolosi, causando la morte di migliaia di migranti: si pensi che, secondo i dati del Unhcr, nel 2018 2.275 persone sarebbero morte o disperse durante la traversata del Mediterraneo. Dati allarmanti che certo rendono chiaro un aspetto: la migrazione non si fermerà. Di fronte alla necessità, alle guerre civili, alla povertà, nessuna barriera potrà fermare un essere umano in cerca di asilo. Questo è ciò che il Collettivo Fx rende noto attraverso la serie “Keine Papiere – Attenzioni non ha i documenti”: circa 250 vagoni dipinti che viaggiano costantemente tra l’Emilia Romagna e la Germania. Questi treni che sfrecciano portando con sé le immagini di donne e uomini sdraiati lungo i vagoni rendono palesi le condizioni contradditorie del viaggio in senso contemporaneo: viaggiare implica l’attraversamento dei confini di uno o più luoghi, dove l’identità del viaggiatore – la sua storia culturale e etnica – non viene persa, anzi definisce il rapporto con altre società. Oltrepassare i confini, inoltre, significa avere a che fare con i limiti da loro marcati, ma allo stesso tempo la loro fragilità si palesa: nessuna barriera è invalicabile.
In quello che sembra essere il secolo delle frontiere, si dovrebbe imparare a guardare a questi fenomeni con occhi diversi. Come afferma Guido Chelazzi nel testo “Inquietudine migratoria”, la migrazione desta timore poiché considerata come elemento invasivo, se non distruttivo a livello identitario, ma se si guarda bene alla storia dell’uomo si osserva che: “l’identità, genetica e culturale, non nasce dall’isolamento, ma è prodotta dall’alternanza di separazioni e connessioni associate alla mobilità; nella storia naturale dell’umanità questa è stata la pompa generatrice delle diverse identità.”
Exodus pone una lente su una parte di questi fenomeni, ci invita a osservare, fino a trarre una conclusione personale.
di Francesca Renda