I miei occhi hanno attraversato mutevoli maree prima di percorrere l’entroterra della Sicilia dietro i vetri della macchina di un taxi. Era estate, mi dirigevo verso Caltanissetta alla ricerca del bagliore dell’arte per una poesia, in occasione del Festival Estrazione/Astrazione … una boccata di vita e di distacco dal putrido e alienante odore della capitale. Una strada distrutta e decine di deviazioni in collina confondevano quella lieta sensazione di riassetto nell’orientamento, tipico di chi approda in un nuovo territorio che richiama la scoperta … e mi chiedevo dove mai fosse il mare in quell’isola … forse troppo lontano dai miei occhi in uno sfrenato correre verso la meta. Ho giocato con le attese in quella culla di sensazioni in cammino … contavo i minuti, avevamo molta strada da fare. Ma non importava, era la mia vita. A volte sembra quasi che la natura umana tenda a non osservare più nulla, soprattutto quando, per lungo tempo, vive in un luogo apparentemente familiare. Io stavo viaggiando per esimermi dal rischio della cecità, per ricordare a me stessa che non sono un “continente”, ma solo una lente d’attenzione sull’esistenza da esprimere in pochi attimi di parole. Poche luci di richiamo, un vorace immergersi nell’apparenza di una civiltà … e fu il centro di Caltanissetta, lì dove ebbe fine quella prima parte di storia vera. Il mio primo calpestare quella terra fu come uno sguardo alle mediane espressioni commerciali, tipiche di un vivere contemporaneo ruvidamente immerso in luci d’oro che percepivo quasi offuscate dalla violenta intercessione di un popolo dominante … Uno scisma surreale tra memorie architettoniche e spirituali mi disorientava, mi scioglieva nella delusione di non aver che ritrovato distacco, pur desiderando solo un viaggio per illudermi di poter vivere almeno due volte. I volti non raccontavano la storia di una consapevolezza culturale riconosciuta ed inconsciamente approvata, i volti raccontavano la storia di una dissociazione, di un commiato dal reale “essere se stessi”. Un sentire metafisico, come atto di cesura socio-culturale tra passato e desiderio di un, forse, poco sostenuto e promosso, reale “progresso”. Percorrevo le strade principali in cerca del Quartiere Angeli arabo-normanno, ricercavo le radici di quella sensazione di scollamento onirico tra civiltà e inciviltà. Le ritrovai per caso, dopo il primo splendore dell’arte di Estrazione/Astrazione, dopo l’emozione del riflesso di me stessa incastrato tra le pietre d’oro della strada, delle case, negli occhi di quel genuino vivere ed accogliere, tipico della gente del Quartiere Angeli. Fu un incontro, un’intesa … e poi un racconto. Avevo incrociato M., la voce di una storia di degrado, ignoranza, repressione, frustrazione, azione e reazione. Lei mi concesse una possibile chiave di lettura di quella mia strana sensazione di viaggiare tra i vicoli di un “mondo a due volti” … e mentre la mia voce di poeta gridava in arte e in fede, al centro del Quartiere … io, che avevo scelto la libertà, ero giunta in un’ennesima prigione … ed ascoltai la voce del dissenso sociale di periferia, quello scomodo, quello pulito ed indenne dalle bugie, dalle incoerenze e dalle vigliaccherie dei più, potenti ed impotenti … Lì … quasi ai confini, come al centro di un nuovo mondo … alle spalle dell’oro di Caltanissetta, da decenni esiste una discarica di avanzi e materiali … una fogna all’aria aperta … un pericolo per tutti. M. aveva lottato, denunciato, discusso, diffuso … ma la sua storia parlava solo di vani tentativi e di numerose vite semplicemente dimenticate e bistrattate dall’inazione di tutto ciò che dovrebbe rappresentare una garanzia per la tutela della vita … ed una causa in corso. M. ormai non piangeva più, piangevo io. Le sue parole erano come dimenticate sulla zattera dei giusti … senza più attenzione … senza capacità di ascolto … e mi chiedevo come fosse possibile che tanta bellezza storica e primordiale potesse racchiudere, in realtà, così tanto marcio soffocato dalle disattenzioni di un vivere sociale apparentemente etico e di buon senso civico … un’altra illusione … Ecco cosa stavo scoprendo a Caltanissetta! Un baule di merda tempestato di diamanti … un’apparente desiderio di retorica ecologia, senza alcuna voglia di abitare a volto scoperto anche la periferia dimenticata della città. Una discarica di inutilità, come tutti i residui, quelli tipici di chi, nel corso degli anni e di un racconto così dettagliato da non volerlo davvero ricordare, forse ha taciuto, pur sapendo la verità. Ero una straniera e vedevo solo una possibilità, il vero. Impossibile immaginare una città totalmente ed istituzionalmente ignara di una tale storia che mette a rischio la vita stessa di una popolazione. Perché pretendere la verità? Perché sono soltanto un poeta, un animale, rapace, veloce, isolato che non può mentire conoscendo la preda protesa in maschere di tutti i colori! Mai vivrò per raccontare di arcobaleni di menzogne ben nascoste dietro le strade che percorrono gli ostili a tali statue di virtù. Il bel cielo limpido di Caltanissetta potrebbe risplendere e riflettersi se mai qualcuno avesse il desiderio di spolverare i palazzi, le strade … dalle falsità dei finti cieli che vagano, strisciando. L’aria densa di quella memoria storica, potrebbe diventare più pulita senza quell’insulsa discarica colma di immondizia umana … Quanto vale il prezzo di questo riscatto? Quanto costa oggi l’emancipazione a Caltanissetta? Quanto vale la liberazione dalle contaminazioni? Quanto vale la redenzione e poi la vita?
© Annarita Borrelli
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