Ascoltare la musica di Donatello D’Attoma … ecco i perché …
Le sette note … perché?
La Musica? E’ stata una scelta abbastanza naturale. Anzi, direi che non si è trattato proprio di una scelta, la musica era parte della famiglia, un componente aggiunto. I miei primi ricordi d’infanzia sono infatti contrassegnati dalla presenza dalla musica: una chitarra, una tastiera, uno stereo, mio padre che suona e mia madre che canticchia. All’età di 11 anni, un rapido saluto agli amici delle elementari ed ero già sul primo autobus per Monopoli, città che ospita il Conservatorio al quale mio padre mi iscrisse e dove ho studiato per dieci lunghi anni diplomandomi in Organo. Era solo l’inizio. Ma anche quando a 21 anni pensavo di non poter vivere una vita di poche soddisfazioni e molte rinunce e sacrifici di ogni genere, sono andato avanti, semplicemente perché per me la Musica era e continua ad essere una ragione di vita imprescindibile. Le note sono sette, ma la musica è in grado di offrirci molto di più. Come qualsiasi espressione artistica, la musica affina la ragione, la musica educa, la musica combatte l’odio. Io sono stato
fortunato ad averla conosciuta sin dai primi anni di vita, ma non è assolutamente una condizione esclusiva. La musica è ad accesso limitato e a disposizione di tutti.
Il pianoforte … perché?
Studiandolo, durante il corso di Organo e in seguito per la crescente passione nei confronti del jazz, ho immediatamente provato un tale trasporto verso questo strumento che deciso di approfondire lasciando che diventasse così il mio strumento d’espressione artistica. Stimo molto chi si esibisce in recital pianistici di repertorio classico e di jazz: il pianoforte diventa quasi un prolungamento di te stesso, della tua anima.
Il jazz … perché?
Continuo ad ascoltare musica sinfonica, adoro la musica organistica, soprattutto Bach e la scuola organistica francese tardo romantica. Lo stesso vale per alcuni dei miei cantautori preferiti come Fabrizio De Andrè, Paolo Conte, Vinicio Capossela e Gianmaria Testa recentemente scomparso. Il jazz? Il jazz, nella sua accezione più ampia, contiene tutto il mio amore per la musica. Non ho mai avvertito l’urgenza di pensare al Jazz come un genere a sè. Il jazz per me è tutto quello che ascolto, tutto quello che ho voglia di comunicare, componendo o improvvisando. E poi, lo studio dei grandi compositori e improvvisatori afroamericani mi ha arricchito di mezzi interpretativi incredibili. La vera magia di questa autorevolissima cultura musicale è la capacità di rinnovarsi, di confondersi, di fissarsi in strutture e di liberarsene al tempo stesso. E’ stata capace di assorbire il tempo, le storie degli uomini, le tendenze artistiche e di farne qualcosa senza paragoni. Jazz bianco o nero, afro o europeo, che senso ha oggi discuterne in questi termini? E’ musica.
Suonare dal vivo … perché?
Le diverse condizioni sociali, la tecnologia e le difficoltà oggettive del settore musicale, hanno alterato pesantemente il significato che l’esecuzione dal vivo ha avuto nella storia della musica. Prima della nascita dell’incisione, della radio e della televisione il concerto era l’unica possibilità che i compositori avevano per presentare la loro musica ad un pubblico esigentissimo che viveva con stupore quel momento unico e irripetibile. Suonare dal vivo, per me, è un impulso incontrollabile, un voler dire più che un voler esserci.
di Salvatore Cammilleri