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Musica - Andrea Chimenti


Raccontaci brevemente la tua esperienza come musicista ricordando le tue più intense emozioni …

Raccontare le emozioni per chi fa musica non è facile in quanto l’emozione è il motore per ogni nota, testo e scrittura in genere; è la magia che rende possibile una creazione per quanto piccola. Raccontarla non è facile. Però potrei riassumere dicendo che le emozioni più grandi sono due per quanto mi riguarda: la nascita di una canzone (momento assolutamente intimo) e la successiva condivisione di questa con chi l’ascolta. Ho sentito spesso dire “scrivo per me stesso”, io invece scrivo per comunicare, è il mio modo per esserci in questo mondo, per connettermi con gli altri. Se tutto questo avviene passando attraverso l’emozione mi fa stare bene e sento di aver raggiunto lo scopo. Anche attraverso il canto cerco di fare arrivare tutto quello che racchiudono note e parole. Il canto è la chiave che apre lo scrigno di una canzone, a volte con dolcezza, altre scardinando e rovesciando tutto il contenuto.


Quali credi siano i riflessi sulla tua vita personale strettamente figli delle tue esperienze musicali?

Ci sono riflessi pratici e altri di natura spirituale. Nel primo caso gli effetti sono stati ingombranti e a volte devastanti. Mi sono trovato di fronte a scelte di vita importanti che hanno coinvolto chi mi stava accanto. Momenti molto difficili dove i sacrifici sono stati all'ordine del giorno. Qualcosa di misterioso mi ha spinto comunque avanti nonostante le continue rinunce e perdite. Ho passato lunghi periodi dove per vivere ho dovuto affiancare un altro lavoro a quello di musicista e non facendo quest’ultimo per hobbies mi sono trovato a lavorare anche la notte. Ho passato anni in cui non esisteva domenica o festa. Questo, alla lunga, porta delle conseguenze, ma non è una cosa che scegli, ti capita e basta. Se mi guardo indietro vedo un percorso lungo e difficile, ma del quale sono fiero perché ha contribuito a farmi approdare alla serenità di oggi. Avrei potuto rinunciare in tanti momenti e spesso ci ho provato, ma è sempre accaduto qualcosa che mi ha rimesso in pista dicendomi che quella era la mia strada. I riflessi di natura spirituale sono quelli che dalla mia vita sono confluiti nella musica e da questa sono ritornati alla mia vita creando un vortice che mi ha spinto avanti. Questo mestiere ha influenzato il mio modo di vivere, di pensare, mi ha reso più coraggioso e resiliente.


Fino a dove si spinge la tua voglia di sperimentare con la musica e cosa contamina il tuo processo di sperimentazione?

Non penso mai alla sperimentazione, in quanto sperimentare fa parte del mio modo di concepire la musica e la canzone. E’ un processo naturale. La costruzione di una canzone e la sua capacità di comunicare è importante e se questo avviene attraverso suoni, composizione o concezioni diverse dagli standard ben venga. Cerco sempre di stupire me stesso prima di tutto e questo richiede la ricerca di qualcosa di diverso dai soliti canoni. Ma quello che più conta per me, come per la musica che ascolto, è l’autenticità. Quest’ultimo ingrediente viene prima della modernità, della sperimentazione e di qualsiasi innovazione si voglia.


Parlaci di due tra i tuoi lavori che ti hanno dato maggiori soddisfazioni.

Forse il “Porto Sepolto” e “Yuri”, ma potrei aggiungerne altri titoli come “L’Albero Pazzo”. I primi due occupano un posto particolare nel mio cuore…“Il Porto Sepolto” è stato un lavoro che mi ha lasciato il segno. Cimentarsi con la poesia di Ungaretti è stata un’esperienza che ha cambiato molte cose nel mio approccio alla canzone. “Yuri” è il mio ultimo lavoro, un progetto ambizioso, legato al mio omonimo romanzo uscito un anno prima (“Yuri” casa Editrice Zona). Un lavoro dove sono stato affiancato da mio figlio Francesco che insieme a Davide Andreoni (entrambi componenti dei Sycamores Age) ha firmato la produzione artistica e gli arrangiamenti. Un disco e un libro dedicato all’adolescenza così critica al giorno d’oggi. Il romanzo si divide tra la più cruda realtà e il fantastico.


Il tuo sentire, il tuo pensiero anche attraverso le parole, parlaci di questo legame.

Ho scritto molta musica anche come colonne sonore, ma quando si tratta di canzone la musica deve avere a che fare con le parole e se quest’ultime passano in secondo piano o considerate meno, la canzone perde l’anima diventando opaca e perde significato. Una canzone si scrive perché ci sono delle parole che devono essere cantate, punto. Ho lavorato con musicisti che consideravano la parola un pretesto per scrivere una canzone…è un errore fatto da molti. Con questo non sto dicendo che deve nascere prima la parola e poi la musica, anzi riguardo a questo penso che sia assolutamente indifferente, ma che la canzone è un progetto che racchiude delle parole e delle note che a parità di importanza devono interagire tra loro. La parola ha un potere immenso, come quello del suono, anzi la parola è prima di tutto suono con il potere di trasformare le cose. Nella nostra vita quotidiana abbiamo perso la consapevolezza del potere della parola, l’abbiamo sempre più svilita, svuotata dai suoi significati più profondi. Questo non accade nella canzone, ancora non del tutto almeno. Nel canto, come nella poesia, riacquista tutto il suo potere ed efficacia librandosi nell'aria … un po’ come restituire la libertà ad un uccello in gabbia. Mai sottovalutarla.


di Salvatore Cammilleri


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