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Fotografia - Giuseppe Lo Schiavo - Intuizioni di creatività prima dell’opera d’arte


Giuseppe Lo Schiavo. Intuizioni di creatività prima dell’opera d’arte.


Intenzione. Realizzazione. Reazione. Riuscire a cogliere le sfumature e il

legame che intercorre nel processo artistico di Giuseppe Lo Schiavo non è

cosa semplice, e richiede uno sforzo di analisi diverso, poiché ci troviamo

davanti ad un artista che per sua stessa ammissione utilizza la macchina

fotografica come strumento di lavoro, come fosse la tavolozza di un pittore

oppure lo scalpello di uno scultore. Giuseppe, attraverso la macchina

fotografica supera la fotografia stessa, riuscendo ad estrapolare nei tempi

del percorso creativo quel “freme” visivo che viene considerato come idea

creativa. Ma come arriva l’artista a concepire questa scelta? Quali sono le

percezioni sensoriali con quale la creatività deve fare i conti?

L’utilizzo del mezzo fotografico, come strumento di comunicazione

artistica è sicuramente di rapida validità per il potere istantaneo che ha la

fotografia di raccontare un momento di tempo che l’artista ha scelto di

rappresentare. Ed è qui lo snodo di questa riflessione che vuole

estrapolare, attraverso il lavoro di Giuseppe Lo Schiavo, quelle sensazioni

(a cui l’artista è abituato ma di cui non è mai pago) che vengono in

qualche modo negate allo spettatore, che fanno parte però del momento

artistico, che uno scatto fotografico non riesce a riportare. Per fare ciò

bisognerà discutere e rivolgere l’attenzione sulla materia dell’opera d’arte

utilizzata nella realizzazione del ciclo “Wind Sculptures”, ovvero, la

metallina termica, detta anche telino o coperta isotermica. Materia, tempo,

relazione da una parte e istante creativo, che diventa scelta, dall’altra.

Il rapporto che coesiste tra l’artista è la sua materia, è un rapporto di

continuazione visiva che diventa anche concettuale. La metallina termica

diventa per Giuseppe Lo Schiavo pelle da indossare, una sorta di

prolungamento, di estensione sensoriale delle sue capacità di relazionarsi

con l’ambiente-paesaggio circostante, che non nega la presenza dell’uomo,

ma al contrario la esalta. Avviene cioè una sublimazione del rapporto

uomo-natura, costruita con grande abilità, che tiene conto di alcune

semplici considerazione: la scelta del luogo che non è mai casuale;

l’interazione con il contesto; il messaggio che si vuole “passare” che

diventa fondamenta di una spiritualizzazione dell’immagine. L’obiettivo è

riuscire a comprendere l’immagine come l’insieme delle capacità

dell’artista e del tempo-istante soggetto all’imprevedibilità della natura.

Cogliere questi elementi, che vanno al di là di una comprensione visiva, ci

restituisce quella capacità creativa messa in atto dall’artista che diventa

relazione sensoriale attraverso la tattilità della materia, che, con uno scatto

fotografico, diventa forma fluida nello spazio, capace di plasmarsi nel

vuoto attraverso il vento e per mezzo del corpo dell’artista e il territorio

circostante (dove si compie l’azione), che ne determina “il segno” visivo e

concettuale.

Altro aspetto è la rifrazione luminosa (sia essa naturale o artificiale) e

l’equilibrio che ne viene generato. Bilanciamento e proporzione più il

vento come elemento di imprevedibilità creativa, sono gli elementi

necessari, per ottenere quella corrispondenza estetica e quella

interdipendenza tra la struttura della materia (metallina) e la forma artistica

che viene concepita. La differenza di velocità e la propagazione sulla

superficie della luce, alla base di semplici regole fisiche, diventano per

Giuseppe Lo Schiavo, importanti cooperatori dell’atto creativo. La

metallina diventa nucleo permeabile, disponibile a cedere luce per ricevere

sulla sua area-superficie l’immagine del paesaggio circostante, che si

rinnova attimo dopo attimo seguendo la sequenza del vento e il punto di

vista della macchina fotografica (scelto dall’artista).

Una connessione questa tra il vento e il riverbero luminoso che amplia

maggiormente la percezione del fragore del suono dell’opera d’arte. La

metallina, trattenuta sulla superficie da elementi naturali o artificiali,

oppure dallo stesso artista, con il suo movimento spezza il tempo della

forza del gesto-atto del vento, generando un rumore di fondo, che diventa

diffusione e diramazione di un linguaggio che entra in contatto con il

paesaggio. Un suono che si fonde fino a sciogliersi a diventare liquido,

tangibile, capace di interagire con la sensibilità dell’artista. Un suono

fluido come lo scorrere dell’acqua di un fiume, come la forza delle onde

del mare che si infrangono sugli scogli. Intesa perfetta del vigore della

natura e della “intellighenzia creativa” dell’artista a cui non resta, una

volta elaborato questo percorso, che consegnarlo alla storia del tempo

degli uomini, bloccando in una sequenza fotografica, che diventa

contemporanea mappatura genetica-estetica, frutto dell’interazione della

“poesia” della natura e della complessità del pensiero dell’uomo,

composto da diversi tasselli estetici e concettuali. Una ritualità quella di

Giuseppe Lo Schiavo, che nel ciclo “Wind Sculptures”, si trasforma in

armonia degli elementi. Tutto concorre a diventare pensiero ad uso

esclusivo dell’artista, da rielaborare e concedere allo spettatore. Sono

immagini sospese in apparenza, ma che affondano le radici negli aspetti

più veri e sinceri del rapporto-incontro uomo-natura. Lavori che diventano

organismi sensibili che interagiscono con il paesaggio senza alterarne i

momenti di vita.

“La creatività è intelligenza che si diverte”, sosteneva Albert Einstein. Non

c’è frase più riuscita per comprendere a pieno il percorso artistico di

Giuseppe Lo Schiavo. È questo, forse, più di ogni altro concetto, la chiave

di lettura necessaria per capire quella “intuizioni di creatività che prende

forma prima dell’opera d’arte” nei pensieri dell’artista.


di Roberto Sottile

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