Quattro amici che giocano a fare le rockstar senza la pretesa di esserlo. Questo quello che dicono di sé gli Endrigo, band bresciana che con il loro primo album “Ossa rotte. Occhi rossi” raccontano la difficoltà di tenere vivo un sogno in questo mondo che ci vuole automi senza vita.
Come nascono i vostri testi?
I testi nascono da una prima “gettata” spontanea nata da qualche suggestione. Cose grosse, piccole, stupide o serie che capitano o di cui leggiamo. A volte anche qualche canzone di altri. Mano a mano che rifiniamo la parte musicale anche le parole vengono limate, arrivando al punto in cui tutte le frasi (o almeno una buona parte) ci convincono. Si tratta di un lavoro velocissimo quando si mette in moto ma con periodi di vuoto assoluto che fanno sempre un pochino paura, ogni volta ti chiedi se arriverà qualcosa per ripartire. Per fortuna arriva.
Pensate di essere contro tendenza o d’avanguardia? Perché?
Sicuramente “avanguardia” è l’ultima parola che accosterei alla nostra musica. C’è uno spirito un po’ naif in quello che facciamo, un po’ una continuazione di quando da piccolo immaginavi di suonare la chitarra come l’idolo ti turno. Non ci vergogniamo assolutamente del nostro essere in qualche modo legati a certi stereotipi dell’immaginario da cui attingiamo proprio perché è un immaginario che da ascoltatori ci ha preso e ci ha fatto sentire parte di qualcosa, e ora vorremmo ricambiare il favore proseguendo questa idea. Poi per fortuna è inevitabile che qualcosa di tuo, legato al tuo trascorso e non replicabile, scivola dentro al calderone e ti salva dall’essere completamente derivativo.
Per quanto riguarda il “contro tendenza” ci mettiamo un bel punto di domanda, sicuramente non è il miglior periodo storico per chi ha voglia di chitarre elettriche e distorsori, e dire di fare quello che facciamo non è più un biglietto da visita particolarmente vincente. Dall’altro lato suonare come suoniamo ti aiuta molto sul versante live, dove la gente cerca ancora l’impatto, la sberla in faccia. Punto di domanda, dai.
Raccontateci in sintesi l’esperienza musicale del vostro gruppo …
Siamo quattro amici, molto prima che quattro persone che tentano di suonare. Ne consegue che pur non essendo i migliori musicisti che conosciamo siamo perfetti gli uni per gli altri. Avere un gruppo ti porta a stare a stretto contatto anche quando non ne hai voglia, a gestire cose che nella vita sarebbe bello risparmiarsi come i costanti sacrifici economici, i continui imprevisti e il giudizio della gente, e non sempre ci si rapporta tutti nello stesso modo a queste cose. Se non avessimo un equilibrio interno per affrontare queste cose smetteremmo all’istante anche se tra noi ci fosse il più grande virtuoso del mondo.
Partendo dal vostro ultimo lavoro dove arriverà la vostra musica?
Bella domanda. Testa bassissima e continuare a fare quello che stiamo facendo, cioè suonare ovunque e comunque. Musicalmente invece pensiamo di restare su questo stilema, che ci rappresenta bene e ci permette di esprimerci in maniera tutto sommato sincera, ovviamente vedendo quali nuove influenze musicali e non avremo incontrato al momento di uscire con cose nuove.
di Daniela Cannarozzo