Partiamo dal percorso musicale del duo: come è nato il vostro progetto e come si è evoluto nel corso del tempo?
Annalisa de Feo:
In principio i brani nascono per piano e voce con una vena davvero minimalista. Ricordo la primissima incisione: era fatta proprio di questo, un pianoforte, la voce e nient’altro. Scrivevo e buttavo giù idee, le riascoltavo, le modificavo, le trasformavo; sentivo quindi la necessità di dare al tutto un supporto ritmico e maggior corpo. In mente avevo delle percussioni che potessero dare svariate connotazioni. Il primissimo percussionista che chiamai fu, infatti, un musicista che utilizzava molte percussioni etniche, dei tamburi e delle mezze zucche che venivano immerse nell’acqua. Queste connotazioni timbriche mi piacevano molto. Tuttavia, man mano che il progetto ha preso vita è mutata anche la parte percussiva: con Marco Libanori è stato mantenuto, soprattutto in alcune composizioni, il carattere etnico, ma al contempo i brani hanno acquistato quella “concretezza” e quel supporto rimico che sin dall’inizio ricercavo. Marco utilizza oltre la batteria acustica, una darbuka, un piccolo set di bonghetti, una pentola wok, effettistica varia e un multipad Roland.
Marco Libanori:
Inizialmente i brani avevano una forma “più aperta”, ricordavano maggiormente (in piccolo) una struttura classica: un primo tema che ritorna dopo la contrapposizione di un secondo tema, uno sviluppo, una ripresa, a volte una coda. Insomma la provenienza è di sicuro più vicina alla forma sonata che non alla forma canzone. Tuttavia, l’evoluzione del progetto vuole che alcuni brani, soprattutto di questo secondo disco “Jouer et danser”, abbiano preso una forma diversa. Una forma dettata da un pensiero musicale attento ad una ricerca timbrica, sia acustica che elettronica, e all’ uso funzionale di soluzioni ritmiche ed armoniche, articolate nei contenuti, ma più “fresche” e concrete, che hanno reso il nuovo lavoro fluido e forse anche più fruibile. E’ stata un’evoluzione naturale e spontanea dovuta anche ad un utilizzo più massiccio dell’elettronica, come per “train to forbidden forest” o per la stessa title track dell’Album.
Un disco con tante influenze musicali e ricco di contenuti: ci vuoi raccontare la sua nascita e descriverci anche i brani ai quali vi sentite più legati?
Annalisa de Feo: Jouer et Danser è un disco che all’ascolto può risultare più immediato del primo, anche se la nascita e la gestazione dell’intero lavoro è piuttosto articolata. Ci piace sempre pensare alla genesi di un disco, così come di un live, nel suo insieme: come se ogni singolo tassello contribuisca alla creazione del tutto; la diversità apparente dei brani ha in sé la funzione di costituire una piccola fetta dell’intero.
Arabic breath per esempio è un brano che ho buttato giù nella hall dell’albergo di Abu Dhabi quando soggiornai lì per quasi un anno. Il simple mp3 del pezzo (il soffio arabo del titolo) proviene dall’autista dei pulmini che ci accompagnava dall’ Hotel al centro della città. Lui ascoltava sempre tanta musica ovviamente autoctona, e un giorno mi decisi a chiedergli di trasferirmi tutta quella musica su di una pennetta! Così Marco ne ha accentuato il carattere “etnico” con i suoni della darbuka sul ritmo in 7/4.
Miravora è forse il brano a cui sono più legata: è di sicuro la composizione più “vecchia” dell’album, nel senso che c’è da sette anni circa. Ma solo ora ha trovato la sua forma. Ero andata a trovare mia sorella in Olanda; lei viveva in una casa con un pianoforte e lì ha preso vita Miravora con il suo tema e i suoi accordi. In seguito con Marco ha preso una connotazione quasi folkloristica: ecco anche perché la scelta di introdurre il trombone e il clarinetto che sulla coda danno un sapore balcanico.
Le esperienze musicali che vi hanno fatto crescere maggiormente: ce le raccontate?
Annalisa de Feo:
Per quanto mi riguarda di grande importanza è stato il percorso post diploma, con il maestro Pier Narciso Masi all’Accademia pianistica di Imola, (in duo con la violinista Flavia Di Tomasso) dove ho conosciuto una nuova modalità di concepire il mio strumento e la musica classica in genere. Un modo pieno di risvolti e di sfumature che con il tempo ho metabolizzato e assorbito e che talvolta mi rendo conto di trasferire anche nel modo di concepire i brani elettronici (che apparentemente potrebbero risultare tanto distanti dalla musica classica). Ricordo con grande piacere l’esperienza in teatro con il regista Francesco Gigliotti, e la collaborazione durata qualche anno con l’attrice Clara Galante, con la quale portammo avanti un discorso di collaborazione nella creazione e arrangiamento di brani musicali.
Importante anche il periodo in cui ho fatto parte del quintetto di tango Buenos Aires Cafè, con il quale ho suonato in diversi teatri e festival anche accompagnando ballerini argentini, una collaborazione che ci ha visto anche al Festival di Valtidone con lo storico violinista di Astor Piazzolla Fernando Suarez Paz. Non posso infine citare le esperienze all’estero come a New York e a Berlino, dove ho soggiornato un periodo, e la collaborazione qui con l’artista multimediale Susan Philipz.
Marco Libanori:
Indubbiamente l’esperienza degli anni passati in conservatorio è stata fondamentale per me, grazie al mio insegnante ho potuto allargare l’orizzonte musicale, conoscendo altre forme e stili come la musica concreta e la minimal music. Da lì in poi si è prospettata la possibilità di viaggiare su una strada con tante diramazioni che mi piace percorrere con curiosità. Importante è stata la collaborazione con musicisti come Sitki Taskayali (turkia), Tanya Stephens (jamaica), durante la lunga esperienza con la reggae Band “Taxi109”. Le tante esperienze nella musica classica e contemporanea come con gli “Ars Ludi” e i “Takaoma” (Senegal) e “i Fiati di Parma”. Importanti sono state anche l’esperienze fatte nel teatro, come musicista in scena e in tour con musicisti come Simone Zanchini e Walter Gordiani, e in particolare la partecipazione come percussionista solista nella registrazione di alcuni brani della colonna sonora del film “The Gangs of New York” di M. Scorsese.
Quali sono invece gli artisti che hanno lasciato una traccia importante nel vostro percorso musicale?
Annalisa De Feo:
Non posso farci nulla ma devo mettere in primis Bach. La polifonia di Bach e la sua spiritualità hanno costituito per me un punto di riferimento etico estetico musicalmente parlando, indiscusso, così come gran parte della musica classica, che è la mia provenienza. Con l’adolescenza poi ho aperto gli orizzonti e mi sono appassionata ad un certo tipo di musica popolare, come quella di Dulce Pontes o certa musica balcanica. Ascoltavo la musica di Egbero Gismonti e il jazz rock più audace di Joe Zawinul, la bossanova di Elis Regina, Gal Costa, Tom Jobim, Joao Bosco ecc… Ho amato il tango nuevo di Astor Piazzolla e un certo tango tradizionale. Poi ci sono i Portishead, R. Sakamoto, Ligeti, Philip Glass, Diamanda Galas, Meredith Monk, Bjork e tantissimi altri che hanno “invaso” le mie orecchie per gran parte della mia vita.
Marco Libanori:
I musicisti che mi hanno segnato e che ancora continuano ad ispirarmi nella ricerca musicale, sono sicuramente in ordine sparso: Stravinsky, Steve Reich John Cage, Frank Zappa, Beatles, Led Zeppelin, e Bjork.
I DOS nel futuro: parlateci anche dei prossimi live
Per quanto riguarda i prossimi live il 15 settembre saremo al teatro Keiros di Roma e il 5 ottobre a il Progresso di Firenze. Per ora sono queste le date già fissate.
Lo staff di ignorarte