Raccontateci la vostra storia: come è nato questo progetto?
Nel 2014 ho iniziato ad interessarmi alla slideguitar, soprattutto dopo aver riascoltato i primi dischi di Ben Harper. Con una vecchia acustica modificata e ho iniziato a scrivere i primi riff che poi sono diventati canzoni, a quel punto mio fratello Matteo è entrato nel progetto e abbiamo iniziato a lavorare ai pezzi insieme. L’obiettivo iniziale era incidere un demo e fare dei live, ma vista la resa live dei pochi pezzi che proponevamo abbiamo subito abbandonato questa strada e abbiamo deciso di lavorare ad un vero e proprio disco. Non abbiamo mai smesso di suonare dal vivo, all’inizio ci esibivamo in duo o chiamavamo dei turnisti a suonare il basso, cosa che abbiamo fatto anche per il disco, ma eravamo alla ricerca di un elemento fisso e, nel luglio 2017, Valerio si è unito a noi.
Nel disco ci sono diverse influenze musicali che spaziano tra il rock ed il blues: raccontatecelo in sintesi!
Abbiamo cercato di coniugare in maniera molto libera un po’ tutte le nostre influenze musicali. Veniamo da radici comuni nella musica, soprattutto quella italiana come Verdena e Afterhours, abbiamo ascoltato i Nirvana fino allo sfinimento e artisti come Josh Homme e Jack White sono un nostro punto di riferimento. A questi abbiamo unito generi come il blues, che è un denominatore comune di tutto il disco, il prog anni ’70, il pop e in misura minore anche il metal che sono le influenze personali che abbiamo sviluppato durante i nostri singoli percorsi musicali. Abbiamo messo nel disco tutto quello che ci piaceva, senza pensare troppo alle etichette,
Raccontateci anche il vostro percorso artistico personale: ognuno di voi ha infatti una storia diversa e ha suonato già in diverse band…
Veniamo tutti da almeno dieci anni di attività live e abbiamo avuto esperienze diverse, abbiamo militato in diverse band, alcune ancora attive, ognuna delle quali legata ad un genere differente. Con i Kevlar Project sono tuttora in attività, ma nel tempo ho partecipato a diversi progetti come i Rotor e ho collaborato con diversi artisti dell’underground romano, Matteo ha fatto parte de La Sindrome di Menière e dei Bluoltremarte con cui ha pubblicato un disco e Valerio,
oltre ad aver suonato negli Inna Cantina e nei Twiggy è morta, lavora da anni come fonico live e di studio.
Visto che siete di Roma come è l’attuale scena rock che si respira nella capitale?
Roma è da sempre una delle piazze più affollate per quanto riguarda la musica. Le realtà che si incontrano sono molte ed estremamente diverse tra loro. La scena rock è molto variegata e di sicuro stimolante perché molti sono i gruppi che hanno qualcosa da dire. Certo, la concorrenza è tanta e forse negli ultimi tempi sta un po’ risentendo della grande ondata di nuovo pop che stanno proponendo le molte neonate etichette della capitale, ma di solito se si propone un progetto valido si riesce a trovare il giusto spazio.
Per il futuro invece cosa bolle in pentola?
Al momento siamo molto impegnati a preparare il live con il quale porteremo in giro il disco ma durante le prove lasciamo sempre un po’ di spazio per lavorare a cose nuove. Abbiamo un paio di brani nuovi e non è detto che per la fine dell’anno non decidiamo di pubblicare qualcosa.
Lo Staff di ignorarte