Mare, oceani, salvaguardia delle specie protette e della natura che dovrebbe abbracciarle ed invece sempre più le scaccia come fossero rifiuti per accogliere lo scarto della attuale civiltà. In un momento in cui finalmente sembra che la comunicazione si dedichi anche all’importante tematica della presa di coscienza della nostra madre terra, impossibile non consacrare colui che da anni ormai trasforma elementi organici in Arte.
Gianni Depaoli, con la spontaneità e forza tipica di autodidatta privo di barriere, ma desideroso di dare vita alla propria attitudine comunicativa ed artistica, fa suo il mondo ittico che ben conosce sin da infante, per “constatare” con determinata eleganza la necessità di attenzione e cambiamento.
Trasforma un elemento organico naturalmente decomponibile, in fossile prezioso, attimo eterno di Arte. Lontano dall’uso di materiali derivati, da quegli elementi che soffocano la nostra Terra, dimostra che l’uomo ha il dovere di preservare e conservare.
In un processo diametralmente opposto alle abitudini quotidiane dei più, Depaoli, rende preziosi veli di natura, stende come foglia oro pelli di pesce; chirurgo plastico dell’Arte, sperimenta resine capaci di bloccare il colore naturale della sua materia; testimonia, con scritti come mappe scientifiche, i suoi gioielli dell’Arte.
Dimostra che anche materiali organici destinati allo smaltimento prima e alla decomposizione poi, siano in realtà degni di essere nobilitati, perché elementi generati dalla mano suprema di Madre Natura, esattamente come i nostri stessi corpi.
Le sue grandi tele ed installazioni hanno sembianze di acquarelli e sete eteree; antiche carte geografiche e pergamene; pelli preziose da proteggere, in realtà celano attimi congelati di vita.
Come sempre scelgo un’opera per parlare di lui… “Oceani 2.0” testimoni di un nuovo modo di vivere il nostro bene più prezioso, consapevoli del rischio a cui per secoli abbiamo sottoposto la nostra stessa esistenza, “connessi” al presente per postare non più secondi di mera apparenza intangibile, ma quegli attimi lunghi eternità di cui è fatta la Vita.
di Serena Mormino