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Arte - Donatella Vici


Il dinamismo sovversivo con cui Donatella Vici viaggia attraverso lo spazio e la materia è quello di un alchimista proteso verso la conoscenza di sé stesso e del mondo. Donatella Vici coniuga la natura indagatrice di Zenone, protagonista de L’opera al nero di Marguerite Yourcenar, e lo spirito stoico dell’inglese Elizabeth Siddal, poetessa, pittrice e modella per gli artisti preraffaelliti. Anche nell’aspetto, l’artista romana, ricorda Lizzie. Ma di questo riparleremo più avanti.

La Vici opera a livello artistico dal 1984. Oltre che a Roma, ha vissuto in Francia e in Norvegia. La sua attività non è descrivibile attraverso un excursus cronologico, quanto piuttosto attraverso esperienze segnate dalla relazione con le tecniche e i materiali. Lei si muove tra lo spazio e il vuoto, tra l’aurora boreale e il fuoco in una continua trasformazione in cui tecniche, elementi e materiali si ripropongono e ritornano perché l’orizzonte è quello di una visione del cosmo costantemente sottesa in ogni agire.

Materia, spazio e vuoto, acqua, fuoco e terra, trasformazione, stati, vibrazioni sonore, silenzio. Della natura, dell’aurora boreale. Nelle installazioni, nelle sculture, nelle performances, Donatella si fa filtro tra noi e il respiro del cosmo. E le installazioni e le performance sono sculture e viceversa. Il suo afflato con l’ambiente e la sua preoccupazione per il destino di quest’ultimo sottraggono l’attività dell’artista dalla deriva autoreferenziale che caratterizza la maggior parte delle espressioni analoghe a quelle della Vici. La sua poetica è la materia stessa, la trasformazione degli elementi, ovvero la risposta all’annientamento che sta subendo l’ambiente. La carta, il legno, la ceramica, l’acqua, il vetro, la polpa di carta, l’acciaio, il grassello di calce scorrono in questo fluire continuo, in questo “andare verso l’oscuro e verso l’ignoto attraverso ciò che è ancor più oscuro e ignoto” (Marguerite Yourcenar, L’opera al nero). “Zona pallida”, installazione del 1993, si svolge in un’area di prato dipinta di bianco con l’ausilio di un canale scavato, acqua, candele galleggianti, musica diffusa dagli alberi: Donatella Vici ci riporta al grado zero della civiltà, alla saggezza degli antichi, all’armonia con la natura, ma non come rimpianto di un mondo perduto, quanto piuttosto come sensibilizzazione verso la sofferenza del pianeta. Nelle installazioni come nelle sculture e nelle performance, quasi sempre l’artista utilizza contenitori (le sculture “Attraverso”, “My life, his life, our life”; le installazioni “Vasche di trasmutazione”, “Mutamenti”, “Stato liquido”) o sono presenti buchi (“The passage”, “Buco nell’acqua”): i primi sono la capsula che isola dal degrado stigmatizzandolo, l’interno creatosi attraverso il contenitore richiede un’attitudine attiva, chiunque vuole sapere cosa ci sia dentro: la poesia la fanno lo sguardo, l’attenzione tese a decodificare quel contenuto; i secondi – i buchi - sono un atto sovversivo, una potenza muta squarciante il volume o la forma.

L’attività di Donatella Vici si sviluppa negli anni tra la caduta del muro di Berlino e del comunismo europeo e il nuovo assetto europeo e occidentale all’insegna della globalizzazione e del neoliberismo che sembra non avere alternative. Il capitalismo, però, non risolve il problema ambientale, ma lo approfondisce, gli dà nuove connotazioni. In questo scenario, l’arte della Vici si offre come una dialettica tra le sensazioni fisiche e le sensazioni morali. Le prime – secondo Pietro Verri – svolgono un’azione immediata sugli organi; le seconde sono nutrite di speranza e timore e si sviluppano in base al grado di educazione e civiltà nonché grazie alla memoria. Il piacere è direttamente proporzionale all’intensità del dolore precedente e alla velocità con cui si propaga la sensazione. La lacerazione delle parti sensibili dà luogo al dolore fisico che si registra come un disturbo all’interno del corpo che è difficile da identificare: questo tipo di dolore Verri lo chiama innominato e, il piacere delle belle arti, nasce dai dolori innominati. Un buon artista interpone, tra una sensazione piacevole e un’altra, dei momenti di oscurità, dolore, di modo che lo spettatore goda di più del prossimo piacere e che questo risulti più sorprendente.

Nella performance Off eh lì ah la Vici sceglie il dolore innominato capovolgendo la prospettiva maschile in cui la donna è sottoposta alle scelte degli uomini. Shakespeare aveva fatto annegare Ofelia, insultata dall’amato Amleto che, per vendicare il padre (ancora un altro uomo) deve fingersi pazzo. Nel quadro di Millais, è la già menzionata Elisabeth Siddal a fare da modella per il personaggio shakespeariano. Dopo aver dipinto en plein air il paesaggio che riproduce la vegetazione sulle rive del fiume Hogsmill, Millais (un uomo) fece immergere la Siddal (cui la Vici somiglia in maniera sorprendente) in una vasca da bagno riscaldata. La Siddal rimase nella vasca anche quando il riscaldamento cessò di funzionare, sviluppando così una bronchite che condizionò la sua cagionevole salute. La Vici-Siddal, invece, si immerge in una vasca riproducendo la nota scena dell’opera di Millais, ma lo fa dando all’atto, non il senso dell’annegamento di una donna, ma dell’annegamento del pianeta e della natura in cui ciascuno è coinvolto. L’alchimista Vici, qui, utilizza l’acqua e la vegetazione, non per effettuare uno storytelling, ma per urlare in maniera composta il suo dolore. E, il suo dolore, non è simbolico, dal momento che l’artista si è sottoposta al dolore innominato dell’acqua in cui giace a lungo immobile in uno stato meditativo. Il timore, il rischio di ammalarsi per questa condizione dolorosa si fanno azione, principio motore di un monito affinché la terra, le sue risorse, la sua flora e la sua fauna non anneghino definitivamente. Il piacere conseguente a questo dolore è quello che l’umanità tutta dovrebbe condividere con l’artista, ovvero l’urgenza di pretendere di vivere in un ambiente non alterato dalle attività umane e dalla sete del profitto. Nella performance, infatti, era previsto che il pubblico prendesse parte all’azione gettando dei fiori nell’acqua attraverso un gesto di impegno e consapevolezza. Ecco, dunque, che l’Ofelia shakespeariana e quella di Millais, eroine passive, incarnatrici del dolore di un mondo in cui la donna non decide nulla, attraverso la performance della Vici, diviene una donna artefice del destino della Terra. Se il flusso della realtà, se la vita somigliassero all’arte di Donatella Vici, vivremmo in un mondo migliore. Se uomini e donne concepissero un progetto ampio per recuperare il rispetto per gli elementi (sempre presenti nell’opera della Vici) chiedendo alla politica e all’economia di rinunciare alla pressione esercitata sulla Terra, di ridurre l’inquinamento di cui l’atmosfera soffre dalla rivoluzione industriale ad oggi, di incrementare la biodiversità, vinceremmo la sfida ambientale.

L’alchimista Vici ha creato una nuova prospettiva utilizzando i più antichi elementi perché – come dice Vladimir Majakovskij - l’arte non è uno specchio per riflettere il mondo, ma un martello per scolpirlo.


di Claudia Placanica


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